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In questo album è possibile scorrere, con atto meccanico, una sequenza di fotografie d’archivio che ritraggono donne uccise tutte nel 2019. Un femminicidio in sequenza, immagini di fantasmi, di doppi irreali. Le dinamiche dell’uccisione cambiano, per questo Sophie usa dei filtri che vengono sovrapposti alle figure, per esprimere proprio questo diverso modus operandi dell’assassino. L’assassino è uno: il maschio della femmina, ma non è solo una persona, piuttosto un concentrato di sistemi tossici. Il patriarcato, il maschilismo, la gelosia morbosa e ossessiva, il possesso malato, il potere e la proprietà. Non c’è amore in questo album, come non c’era amore nella vita di queste donne, c’era solo un copione tragico che si ripete ogni giorno, dove la regia decide e taglia e sposta e si impossessa e alla fine cancella. Ogni volto è la lapide della nostra società, ogni donna è l’agnello sacrificale sull’altare della sola e unica soggettiva razionale: quella maschile. Ognuna di essa è comparsa, ogni corpo demanio pubblico, ogni vita sottoposta alla dura legge del potere che, ormai lo sappiamo, come diceva De André “non esiste un potere buono”. Gli atti giudiziari sono ancora più terrificanti da leggere e ascoltare, la retorica che si forma tutta intorno all’assassino è una narrazione accomodante e giustificativa, depotenzia l’uccisore in ultima istanza per svigorire il femminicidio. Tra queste immagini vi suggerisco di soffermarvi su una in particolare; la numero otto. Non c’è poesia in un volto di cui non è rimasta traccia, sembra una stella esplosa della quale non ce ne siamo ancora accorti qui da noi, sulla terra degli uomini, dove ancora sembra sia viva, luminosa, parte del cielo. 

 

Denise Cuomo Pangallo
 

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